Chi è appassionato di birra lo aspettava da un po’. Finalmente su Report Rai 3 è andata in onda un’intera inchiesta dedicata al nostro mondo: la puntata di Report sulla birra.
E lo dico subito, io lo sapevo già da febbraio. L’inviato girava tra gli stand del Beer & Food Attraction con fare curioso, quindi era chiaro che qualcosa bolliva in pentola.
Ovviamente non mi sono perso nemmeno un minuto della puntata. Anzi, l’ho seguita commentandola in diretta con la community dei Temerari della Birra, dove con i fan si è creato un vero e proprio tavolo di confronto. È stato un bel momento, anche perché ognuno ha portato la sua esperienza e il dibattito si è acceso come succede solo tra chi ama davvero la birra.
In questo articolo, che esce un po’ dai soliti schemi del blog, provo a fare chiarezza su quanto emerso nella puntata di Report sulla birra. Cosa merita attenzione, cosa può essere preso per buono e cosa invece va guardato con il giusto spirito critico. Ma su questo ci torniamo con calma nelle conclusioni.
Quello che troverai è il mio punto di vista, da blogger ma anche da ex publican che in questo mondo ci ha messo le mani. Se hai visto la puntata, magari leggendo queste righe ti ritroverai in qualche osservazione. E se ti va, ti aspetto in fondo all’articolo per sapere anche la tua.
Di cosa parliamo in questo articolo?
La schiuma sempre a rendere
Tra i vari spunti emersi, quello che mi ha colpito subito nella puntata di Report sulla birra è stato il passaggio dedicato alla schiuma della birra. Finalmente se ne parla in modo corretto in TV, e per una volta ho tirato un sospiro di sollievo. Perché sì, la schiuma è parte integrante della birra, e ribadirlo davanti a milioni di persone è già un bel passo in avanti. La cultura di come si beve una birra non è mai abbastanza, soprattutto in tempi in cui le notizie fanno acqua da tutte le parti.
Però, dopo questa partenza che mi ha messo il sorriso, viene spontaneo chiedersi se abbia senso demonizzare del tutto le birre industriali, considerando che sono state proprio loro le protagoniste di quel passaggio sulla schiuma e sul buon servizio al bicchiere.
Chi conosce bene il settore sa che la frase “la birra non esiste, esistono le birre” è molto significativa già per chi l’ha coniata. Non è una moda, ma un dato di fatto. E lo ripete spesso chi ne ha viste e bevute parecchie. Per questo credo che la distinzione vada fatta in modo più onesto, tra birre realizzate con materie prime secondarie e birre che partono da ingredienti di qualità. Il resto lo decide il gusto personale, che dipende da quanto sei abituato a bere e soprattutto da cosa sei stato abituato a bere.
Ed è qui che entra in gioco il vero lavoro. Perché dobbiamo essere capaci di cambiare quella percezione mentale radicata in chi si è abituato a birre di bassa qualità. Farlo non vuol dire dividere il mondo in buoni e cattivi, ma far capire che dietro una birra può esserci molto più di quanto si pensa.
Industriale e artigianale, una linea sottile?
Quando una birra viene presentata come non filtrata, non significa automaticamente che sia artigianale. E nella puntata di Report sulla birra questo tema è stato affrontato a dovere, mettendo in evidenza il modo in cui certe parole vengono usate più per suggestionare che per informare.
Nel servizio si parla proprio di questo, del linguaggio scelto dai grandi marchi per creare un’immagine più “autentica” delle proprie birre. Il termine non filtrata diventa così un ponte verso l’immaginario dell’artigianale, anche se dietro spesso non c’è alcuna reale affinità tecnica. È comunicazione, è marketing, ed è qualcosa che nel nostro mercato trova campo libero.
Uno dei problemi che viene fuori è la mancanza di una tutela concreta per parole come artigianale, che vengono usate con troppa leggerezza. Oggi anche una birra prodotta in milioni di litri da un gigante può apparire come piccola e indipendente, senza che ci siano conseguenze.
Altro tema interessante, che conosco molto bene, è la mappatura dei marchi più noti in Italia. Report mostra come tante birre che vediamo tutti i giorni nei bar o nei supermercati, da Messina a Ichnusa, da Peroni a Moretti, siano in realtà controllate da gruppi internazionali come Heineken, Asahi o AB InBev.
Viene toccato anche il caso della birra Messina, che oggi viene prodotta in Puglia ma continua a essere venduta con immagine legata alla Sicilia. O quello della Ichnusa, che porta con sé una comunicazione territoriale forte, ma è legata a una zona della Sardegna con note criticità ambientali.
Il punto è proprio questo. Quando la narrazione è più potente della realtà, si rischia di perdere il contatto con ciò che davvero beviamo. E questo, per chi ama la birra, dovrebbe essere un bel campanello d’allarme.
Birra di qualità e indipendenza
Nella parte finale della puntata di Report sulla birra l’attenzione si sposta sul mondo artigianale italiano. Le immagini raccontano la realtà di diversi birrifici indipendenti, con interviste sincere e in presa diretta a chi la birra la fa ogni giorno, tra fermentatori, sacchi di cerali e tanto orgoglio.
Viene messo in luce tutto ciò che spesso non si vede. La cura nel selezionare materie prime di qualità, la voglia di sperimentare nuovi stili, il rispetto per la catena del freddo e la scelta precisa di non pastorizzare e non microfiltrare, per mantenere la birra viva e vera fino all’ultimo sorso.
Non si nascondono le difficoltà, perché ce ne sono. Si parla di limiti produttivi, di un’identità italiana che ancora fatica a imporsi con uno stile riconoscibile all’estero, e di una distribuzione non sempre semplice. Ma il messaggio che arriva è forte. La birra artigianale non è solo un prodotto, è una scelta culturale, una visione del mondo brassicolo che punta alla qualità prima di tutto.
Oggi resta una piccola fetta del mercato, è vero. Ma è proprio nelle nicchie che spesso si trovano le storie migliori da raccontare. E in questo caso, anche da bere.
Conclusioni
La puntata di Report sulla birra dal titolo “Birra e non sai cosa bevi” ha avuto almeno un grande merito. Ha riportato la birra in prima serata, mettendola al centro dell’attenzione di un pubblico ampio, e questo non può che essere un passo avanti. Ha stimolato curiosità, ha fatto nascere domande, ha smosso acque spesso troppo calme.
Alcuni passaggi sono stati efficaci, altri forse troppo semplificati per un tema che meriterebbe più profondità e meno tagli netti. La mia sensazione è che un’inchiesta di un’ora sia troppo corta per raccontare tutto questo mondo, e che a tratti Report abbia perso il filo, saltando passaggi importanti. Forse era tutto pensato per colpire l’emotività dello spettatore, più che per costruire una visione completa.
Si è parlato di birra, ma mi sarei aspettato qualcosa in più. Un’attenzione vera ai publican, ai pub, a chi ogni giorno si gioca la faccia dietro un bancone. C’erano interviste a locali validi e a professionisti che conosco di persona, ma è mancato il punto di vista del cliente, quel lato umano che vive il pub dall’altra parte del bicchiere.
In Italia, oggi, se ti arriva una pizza bruciata la mandi indietro senza pensarci. Ma se ti portano una birra sbagliata, la bevi lo stesso e magari nemmeno capisci perché non ti convince. Ed è proprio qui che Report avrebbe potuto lasciare un segno più forte.
Sarà bastata questa puntata per far passare un messaggio così semplice?
Forse no, forse l’approccio andava rivisto. Ma tra il fare e il non fare, continuo a pensare che sia meglio fare, anche se in modo un po’ disordinato.
Il punto resta sempre lo stesso. Sapere cosa stai bevendo, riconoscerne la qualità, comprenderne le sfumature. Questo fa davvero la differenza.
Se hai visto anche tu la puntata di Report sulla birra, raccontami nei commenti la tua opinione.
Aalla nostra!
E mi raccomando: bevi sempre consapevolmente.
Francesco
Questo articolo ha un commento
La cosa interessante secondo me che è emersa dal servizio che fa notare se non erro il mastro birraio di Vecchia Orsa che non ci si racconta molto.
Ho conosciuto personalmente molti birrai e publican proprietari di birrifici. Molti se ci vai 10 volte per 10 volte ti raccontano la loro creatura, altri invece ti lasciano al caso non spiegandoti o raccomtandoti nulla.
Lo stesso succede per i publican che decidono di improntatore il proprio locale sulle birre artigianali. Molti di questi non ti spiegano nulla.
Ed è sbagliato secondo me perché non sai mai chi hai di fronte