Questo è uno di quegli argomenti che ho segnato sul mio diario delle curiosità e nozioni da scrivere. È sempre passato in secondo piano, ma l’etichetta della birra potrebbe essere davvero quell’elemento che, forse forse, non teniamo mai in conto quando ci arriva la birra al pub, dico bene vero?
In effetti, me compreso, quando si è in compagnia spesso si trascura di osservare l’etichetta della birra. Oggi poi, magari rimaniamo affascinati dai nomi stravaganti che vengono attribuiti alle birre o dalle grafiche straordinarie, ma c’è un grosso “ma” e non è per nulla scontato: un’etichetta della birra, cosa dovrebbe comunicare per informazione o per legge?
In questo articolo scendiamo più nel dettaglio su questo argomento. Vediamo insieme alcuni esempi e… spoiler, ti anticipo già che nella stragrande maggioranza, quasi nessuno esegue tutto alla perfezione. Non è reato, però sono convinto che un’etichetta ricca e completa fa la differenza nella divulgazione delle informazioni.
Ma bando alle ciance e iniziamo!
Di cosa parliamo in questo articolo?
Quando è nata l’etichetta della birra?
La domanda nasce spontanea e ha incuriosito anche me. Di fatto, sin dalla notte dei tempi, l’etichetta della birra, come il sottobicchiere, è stata sempre un bersaglio per i collezionisti, creando un vero e proprio mercato intorno a questa passione per la caccia dell’etichetta più rara. E quando parliamo di etichetta della birra, c’è da notare che all’inizio del secolo scorso le bottiglie di birra avevano solo il tappo a macchinetta e, in rilievo sul vetro, era riportato il nome della fabbrica; non si avvertiva il bisogno di dichiarare il contenuto, tanto meno la data di scadenza o altre informazioni che oggi sono essenziali su un’etichetta di birra.
Le prime etichette sulle bottiglie di birra apparvero in Gran Bretagna, dove le birre prodotte dalle birrerie londinesi erano molto apprezzate dalle corti russe, tanto che le bottiglie portavano etichette bilingue.
La prima etichetta italiana sembra essere stata quella della “Birra Piemonte Port Ale”, che faceva bella mostra di sé sulle bottiglie uscenti dall’omonima birreria di Cuorgnè nel Canavese, in provincia di Torino.
Da lì, è iniziata l’evoluzione di quello che oggi conosciamo come il mondo delle etichette per birra.
Etichetta per birra: quali informazioni deve avere
Entriamo nel vivo di questo argomento, esplorando cosa deve essere indicato sull’etichetta di una birra e perché.
Partiamo dal presupposto che la bottiglia di birra è di per sé uno strumento di marketing. È fondamentale creare qualcosa di accattivante che giochi sul nome e sulla grafica, ma è essenziale non trascurare le informazioni sull’etichetta. Per questo motivo, oggi molti birrifici stanno orientando parte della loro produzione verso le lattine, che offrono maggiori opportunità di personalizzazione e sono altrettanto efficaci dal punto di vista del marketing, garantendo lo spazio necessario per le informazioni obbligatorie, un po’ come sta già facendo NOMOQ nel mercato italiano.
Personalmente, ritengo che ci siano due tipologie di indicazioni da riportare sull’etichetta:
La parte obbligatoria: questi sono gli elementi che per legge devono essere inclusi sull’etichetta.
La parte etica: comprende tutto ciò che è obbligatorio, con l’aggiunta di dettagli e informazioni non obbligatori che possono tuttavia fare la differenza per il brand.
La parte obbligatoria deve assolutamente includere:
- Denominazione legale del prodotto: il nome legale con cui il prodotto è commercializzato.
- Soggetto giuridico: la ragione sociale del produttore, importatore o distributore.
- Contenuto: deve essere indicato in litri (L) o in uno dei suoi sottomultipli (per esempio: cl).
- Grado alcolico: deve essere espresso in percentuale (ad esempio: 5,3% alc).
- Ingredienti: se si tratta degli ingredienti classici (acqua, malto, luppolo, lievito), non è obbligatorio inserirli; diventa obbligatorio solo se sono presenti allergeni.
- Scadenza: un’informazione essenziale, che può essere indicata in due modi:
-Da consumarsi entro: indica che, superata la data, il prodotto è considerato scaduto.
-Da consumarsi preferibilmente entro: indica che, anche se superata la data, il prodotto può essere ancora consumato, anche se il produttore non garantisce alcune caratteristiche.
Queste sono le informazioni che la legge impone debbano essere presenti sull’etichetta, e, spesso, in molte birre non artigianali, sono le uniche informazioni descritte e prescritte.
Passiamo ora a quello che considero la parte etica del buon birraio e le informazioni che, a mio avviso, il consumatore finale dovrebbe avere tra le mani prima ancora di bere la birra. Queste indicazioni non solo arricchiscono l’esperienza, ma creano anche un contesto informativo che valorizza il prodotto:
- Piccola descrizione: anticipare al consumatore le sensazioni che proverà degustando la birra può già instaurare un’aspettativa qualitativa sul prodotto, influenzata anche dallo stile della birra.
- Termometro delle intensità: un piccolo grafico che mostra le intensità di luppolo o malto, per dare un’idea di quanto la birra possa essere equilibrata o amara.
- Simbolo del bicchiere: un’icona del bicchiere consigliato per la mescita, per garantire che la birra venga servita nel modo più adeguato.
- IBU (International Bitterness Units): l’unità di misura che indica il grado di amaro della birra.
- Grado Plato: la percentuale di zuccheri presenti nel mosto prima della fermentazione, da cui si ottiene il volume alcolico della bevanda fermentata.
- Temperatura di servizio: una precisazione cruciale, sapere a quale temperatura servire la birra per esaltarne le qualità al massimo.
Inoltre, possono essere incluse informazioni come riferimenti ai social media del birrificio o un piccolo QR code che rimanda alla scheda dettagliata della birra sul portale del birrificio.
Ci sono ancora due termini importanti da specificare, che sono spesso fonte di confusione: “Birra doppio malto” e “Birra artigianale”.
-Birra doppio malto: Questa denominazione è stata introdotta dal legislatore italiano nel 1962 (Legge n. 1354) per definire le birre di tenore alcolico elevato. In particolare, la legge identifica come ‘doppio malto’ tutte le birre con un titolo alcolometrico (misurato in gradi Plato) pari o superiore a 14,5.
-Birra artigianale: A partire dal 2016, la legge italiana definisce come ‘birra artigianale’ quella prodotta da birrifici indipendenti sia legalmente che economicamente, che utilizzano impianti di produzione propri e la cui produzione annuale non superi i 200.000 ettolitri. Inoltre, per essere considerata artigianale, la birra non deve essere sottoposta a processi di pastorizzazione o di microfiltrazione.
Conclusioni
Abbiamo raggiunto la fine di questo articolo, in cui abbiamo esplorato tante piccole sfumature celate dietro l’etichetta della birra. Come ben sai, mi piace analizzare tutto nel minimo dettaglio, offrendo anche la mia personale opinione sull’argomento. È proprio questa curiosità a ispirare i miei contenuti, e ne ho ancora molti altri pronti, come si suol dire.
Spero che, d’ora in poi, quando avrai una bottiglia o una lattina di birra in mano, penserai anche tu a questi dettagli e, perché no, inizierai ad esplorare più tipologie, confrontando le varie differenze nelle diciture.
Sarò forse troppo estremo, o magari è perché mi occupo di marketing per il settore dei pub e birrifici, ma tendo a pensare che un’etichetta perfetta sia spesso sinonimo di un prodotto di alta qualità. Non voglio però esagerare, quindi lascio a te la parola: se hai qualcosa da aggiungere, sono tutto orecchie e pronto a discuterne con una buona birra in mano. Fammi sapere nei commenti qui sotto!
Alla nostra!
E mi raccomando: bevi sempre consapevolmente.
Francesco